Dzeko-Roma: c’eravamo tanto amati

Stavolta è tutto vero, te ne sei andato. Non c’è un contratto rifiutato, non c’è un Milik saltato all’ultimo, non c’è prima un attaccante da prendere per sostituirti, non c’è niente. E non ci sei nemmeno tu, non più.

Sei anni passati insieme, da quell’11 agosto 2015, dal bagno di folla a Fiumicino, dall’amore che hai ricevuto fin dal primo istante che hai messo piede nella nostra città, dal primo giorno che hai indossato la nostra maglia, dal primo gol in amichevole contro il Siviglia che ci aveva ricordato il miglior Batistuta. Dal primo gol in campionato contro la Juve, saltando in testa a Chiellini, che ci aveva fatto immaginare chissà cosa, insieme a quella squadra di campioni che per anni ci ha fatto sperare di tornare grandi, grandissimi, vincenti, ma che invece è stato un cammino fatto sì di risultati, ma non di trofei.

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Ma siamo romanisti, e non che i trofei non ci interessino, ma noi viviamo di passioni forti, di affetti e quando uno come te se ne va la prima cosa che sentiamo è un dolore, quasi un tradimento, un senso di abbandono, che possiamo colmare solo amando qualcun altro.

Ti abbiamo amato, ti abbiamo odiato, non c’è mai stata l’unanimità in un senso o nell’altro quando si parlava di te.

Abbiamo discusso con i nostri migliori amici per te, per difenderti o per accusarti.

Di gol ne hai fatti tanti, forse ne hai sbagliati ancora di più, ma eri il nostro numero 9, negli anni sei diventato il nostro giocatore più rappresentativo, il nostro capitano e poi di nuovo uno di cui potevamo fare a meno.

Sei l’unico giocatore che ci ha fatto urlare un “mamma mia cosa hai fatto” con le mani sulla testa per un gol fatto o un gol sbagliato, per il gol al volo a Stanford Bridge o per il gol sbagliato contro il Palermo, di cui Maicon ancora fa fatica a capacitarsi. Sei stato il migliore e il peggiore, croce e delizia. L’odi et amo dei tifosi per sei anni, un’eternità nel calcio di oggi.

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260 partite e 119 gol sono roba da attaccanti di livello mondiale e se insieme a questo ci mettiamo la capacità di fare reparto da solo, di essere finalizzatore e rifinitore, attaccante a tutto campo, tanto che per qualche momento ci è sembrato (Dio mi perdoni per quello che sto per dire) di rivedere le giocate del nostro numero 10 per eccellenza, allora possiamo avere un quadro di quello che sei stato per la Roma.

Ma purtroppo siamo ai saluti, perché nel bene e nel male è stata comunque una bella storia d’amore la nostra.

E non staremo qua a parlare di stipendi, di partite saltate ad hoc, o di strani giochi di spogliatoio. Non ci interessa. Perché quando una storia d’amore finisce restano solo i cocci da rimettere insieme e dopo il primo periodo in cui la rabbia la fa da padrone restano solo i bei ricordi. E di ricordi belli ce ne sono, e ce ne sono molti.

Purtroppo non impareremo mai a ragionare da professionisti, come fai tu, come fate tutti voi. Ogni volta per noi sarà una ferita aperta, sarà tristezza e rabbia, riconoscenza e perdono.

Noi Tifosi (mi prendo la responsabilità di usare la parola tifosi nel senso più universale del termine) abbiamo un sogno. Ci piacerebbe che qualcuno decidesse di rimanere in una squadra solo perché è lì che vuole stare. Ma nell’estate in cui anche il giocatore più importante della storia del Barcellona non riesce a finire la carriera dove l’ha iniziata, senza entrare nel merito delle ragioni della scelta, il tutto ci sembra ancora più difficile, al limite dell’utopistico.

E parafrasando le parole di Dario Bersani che al tuo arrivo aveva scritto: “E se non andrai bene nemmeno te, vorrà di’ che semo noi”, io ti dico: E se non sarai nemmeno te, vorrà di’ che aspetteremo ancora.

Perché noi, di sognare, non smetteremo mai.

Buona fortuna Edin, ma non troppa…

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