Esclusiva FdR – D’Agostino: “Da regista nella Roma sarei rimasto 10 anni”

La vita è fatta di momenti, di occasioni e Gaetano D’Agostino lo sa bene. Fenomeno da bambino, cresciuto con il calcio di Zeman, presente sul palco del Circo Massimo durante i festeggiamenti del campionato vinto, esploso successivamente all’Udinese. Su di lui gli occhi di Juve, Napoli e Real Madrid per poi veder sfumare tutto. Essere pronto per andare a giocare il suo primo mondiale in Sud Africa ma perderlo per un banale infortunio al ginocchio.

D’Agostino é stato considierato per anni, come regista, inferiore solo ad Andrea Pirlo eppure la sua carriera non è mai esplosa definitivamente, probabilmente a causa di fattori extra che ne hanno condizionato l’ascesa.

Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo ripercorrendo assieme a lui tutta la sua carriera partendo però dal presente, un presente che lo vede allenatore.

Oggi Gaetano D’Agostino allena il Lecco, dopo aver guidato l’Alessandria, il Virtus Francavilla e Anzio. Come è Gaetano D’Agostino come allenatore? Lei è stato allenato da grandissimi allenatori, c’è qualcosa nel suo gioco che fa riferimento ad uno di loro? Se sì a chi?

“A me piace far giocare bene la squadra, essere propositivo. Sono un allenatore che cerca di prediligere il gioco rispetto agli avversari. Amo gestire il gruppo, dare responsabilità ai ragazzi anche perché, avendo avuto la fortuna da calciatore di essere sempre stato uno che nello spogliatoio si faceva sentire, voglio che i giocatori siano dei leader.

Sono un mister che da massima fiducia allo spogliatoio e cerco di dare quella spensieratezza che serve perché comunque è sempre un gioco.

L’importante è che sul campo si dia sempre il 100% e che si lavori uniti per un unico obiettivo.

Gli allenatori  che ho avuto sono stati tutti importanti e da tutti ho preso spunto. Il calcio è cambiato rispetto a quando giocavo io anche se sono passati solo 10 anni. E’ più fisico, più tattico. Gli allenatori che seguo con più attenzione sono Gasperini e Klopp.”

Lei in mezzo al campo univa la genialità al saper gestire il pallone in un modo sopraffino, si sarebbe aspettato di più dalla sua carriera o è soddisfatto del suo percorso da calciatore?

“Come in tutti i percorsi è normale aspettarsi sempre di più. Io ho sempre dato il massimo nel mio lavoro, nel momento in cui ho toccato l’apice i club importanti si sono fatti avanti. Non entro in merito alla questione Real Madrid o Juventus ma quell’annata lì (il terzo anno a Udine) , che mi ha portato a consacrarmi dopo i primi due anni, mi ha dato la possibilità di farmi conoscere al grande calcio arrivando anche in Nazionale. Come in tutti i percorsi sì, c’è qualche rimpianto, ma alla fine ho fatto una buonissima carriera e sono contento di questo.”

Nella vita tutti noi abbiamo un bivio, una strada che si dirama. Una scelta può cambiarci la vita.  Lei è su un divano con una sigaretta in bocca e un joystick in mano. Le arriva una chiamata da un numero sconosciuto.

Il suo passaggio al Real Madrid sembrava cosa fatta, poi tutto inspiegabilmente sfumò.

In quei momenti cosa sognava Gaetano e quanto è stato difficile per lei realizzare che tutto ciò che aveva immaginato era stato cancellato da un qualcosa che ancora non riesce a capire?

“Dopo quella chiamata di Bronzetti sembrava tutto fatto. Dopo che era saltato il passaggio alla Juve per me si stava aprendo un grande portone, una grande opportunità ma purtroppo sfumò anche quella trattativa.

Umanamente è normale pagarla sia a livello psicologico che fisico, quei mancati passaggi hanno segnato in maniera forte la mia carriera a livello mentale perché avevo dimostrato, potevo avere la possibilità di toccare il cielo andando nel club più importante del mondo ma non mi venne concesso.”

Lei era al Circo Massimo con i calciatori giallorossi per festeggiare l’ultimo scudetto della nostra storia. Che ricordi ha di quella sera e cosa ricorda di quell’annata? Lo spogliatoio era molto unito e spesso vi ritrovavate tutti insieme per cene e divertimenti.

Può raccontarci qualche aneddoto?

“Ero giovanissimo, ricordo quella stupenda festa e tutta quella gente. Ho dei ricordi bellissimi, momenti emozionati. Ricordo che alla festa del Circo Massimo non riuscivamo a passare perché c’era un muro umano felice, allegro pieno di entusiasmo. Abbiamo cercato di uscire da dietro le quinte ma era impossibile, siamo rimasti lì per tutto il concerto.

E’ stata una festa meravigliosa piena di personaggi importanti come la Ferilli e Amendola. Quel gruppo era fantastico ed ha lottato per un obiettivo solo, quello di vincere lo scudetto che poi vincemmo.”


Con Capello il debutto in serie A a Brescia il 5 novembre del 2000. Fabio Capello era un perfezionista, che ricordi ha di lui come allenatore e come uomo? Ha qualche aneddoto da ricordarci?

Fabio Capello era un allenatore molto esigente, molto rigido per quanto riguarda il rispetto delle regole, cosa che serve ancora oggi alla Roma. Un uomo vincente, mi ha insegnato a saper convivere con dei campioni e con i giovani perché in quelle annate c’era un mix importante nel gruppo. Si era formato un piccolo “esercito” dove ognuno aveva il suo compito ed il merito del mister è stato proprio questo.”


Lei giocò nella Roma anche nel momento probabilmente più buio della sua storia. La stagione dei cinque allenatori la ricordiamo tutti. Come visse il gruppo quella
annata ? Perché secondo lei non si riuscì a trovare una soluzione stabile? Ha dei ricordi legati a qualche allenatore di quella stagione?

“Annata stranissima, che poi non andò nemmeno male inizialmente nella turné Americana con Prandelli. Ricordo che tornati in Italia, in una amichevole con il Perugia io dovevo entrare nel secondo tempo ma nessuno usciva dal campo.

Qualcosa sembrava non quadrare, infatti ricordo a fine partita i visi cupi e arrabbiati dei compagni. La sera quando arrivammo a casa ci arrivò il messaggio delle sue dimissioni. C’è chi dice per la moglie, chi dice per Cassano, ma io realmente non so il perché.

Da lì in poi andò tutto storto e la Roma rischiò di retrocedere. Io andai via a gennaio perché rischiavo seriamente di bruciarmi la carriera però ripeto, sono annate che capitano una volta ogni trent’anni, rimpiazzare uno come Capello è difficilissimo e lo sarebbe stato in qualsiasi piazza.”

Lei ha giocato con Totti e Cassano.. deve essere stato davvero bello vederli giocare assieme. Che immagini porta con se di quei periodi assieme a questi due grandi calciatori?

“Bello in allenamento, bello in partita. Mi sarei divertito molto di più se fossi rimasto a Roma, immagina se io avessi giocato regista in quella Roma con Totti e Cassano lì davanti. Sono sicuro che avrei fatto molti più anni alla Roma. Peccato che nessuno abbia avuto questa intuizione perché, e non voglio esagerare, sono sicuro che sarei rimasto alla Roma altre dieci stagioni anche perché la società cercava un calciatore con quelle caratteristiche.

Uno dei rammarichi più grandi è questo, sono cresciuto nel settore giovanile della Roma e nessuno ha mai avuto l’intuizione di farmi giocare regista come a Udine dove poi ho reso al massimo. Lì ho conquistato la Nazionale, lì tutti i club mi hanno cercato e ripeto, se avessi giocato regista nella Roma  sono certo che avrei fatto grandissime cose.”

Giocare quasi 250 partite in serie A non è da pochi, venire considerato il regista più forte d’Italia dietro Pirlo  anche. Perché Gaetano D’Agostino ha raccolto meno di quello che gli addetti ai lavori si aspettavano?

“Non è tanto quante presenze fai ma come le fai. Io in serie A mi sono sempre tanto divertito, ho fatto il mio dovere e anche la differenza in tante annate. Nel momento della consacrazione e diventare un “top” qualcosa non è andato per il verso giusto, non mi è stato permesso. Non è dipeso da me. Adesso che faccio il mister posso avere più bagaglio e saggezza per poter consigliare ai ragazzi molte cose come imparare  a non basare tutto sugli altri ma su se stessi e sull’impegno.

Se fai bene susciti attenzione, se fai male c’è qualcuno che vuole fare la tua carriera rubandoti il posto, dipendiamo sempre dalle nostre prestazioni. Dal momento che ho dimostrato di essere un grande regista tutto mi volevano mentre, non dimostrandolo la stagione seguente, non mi ha cercato più nessuno. Questo è il bello e il brutto del nostro sport.

Io ho permesso agli altri di poter invadere “il mio mondo” e soprattutto ho dato fiducia a tante persone che volevano gestire la mia carriera, adesso da allenatore ho più esperienza e consiglio sempre ai ragazzi di non basare tutto sul procuratore o tutto sul direttore.

Loro ti possono aiutare se tu migliori, ma nessuno ha la bacchetta magica perché tutto dipende solo e soltanto dalle prestazioni.”

A causa di un serio infortunio al ginocchio  non rientrò nei convocati per il Mondiale in Sud Africa. Lei però frequentò quel gruppo.

Ci può raccontare qualche aneddoto di quella Nazionale? Ricordiamo che in rosa c’erano elementi come Pirlo, Gattuso, Buffon..

“Gruppo meraviglioso, venivano dal mondiale del 2006 e Lippi decise di portare il blocco anche nel mondiale dopo. Aneddoti ce ne sono tanti, litigavamo perché a Coverciano veniva quello che portava giochi per ottimizzare il tempo e litigavamo quando facevamo i tornei. Facevamo la gara dei palleggi al volo e Gattuso, con me Pirlo e De Rossi vinceva sempre.

Ci chiedevamo sempre come facesse ma la sua forza mentale sopperiva a tutto quanto anche ai suoi limiti tecnici.  Io comunque l’ho sempre reputato un calciatore fortissimo. Considera che su dieci partite ne vinceva otto. Poi ovviamente da professionisti appena arrivava il mister ci allenavamo seriamente e duramente.

Dispiace per l’infortunio al ginocchio, feci una scivolata per non far uscire il pallone e sentii una scossa sul menisco esterno. Una cavolata che mi costò il Mondiale.”

Nel 1998 l’ allora allenatore Zeman decise di portarla  a soli 16 anni nella prima squadra. Un ragazzino di 16 anni come vive una cosa del genere? Quale è l’immagine che ricorda più nitidamente di quel periodo ? Il suo rapporto con i compagni?

“L’ho vissuta bene e l’ho vissuta male ( ride n.d.r ), è stato un onore per me, un privilegio. Non ho mai sofferto così tanto in vita mia ma una volta passato e vissuto il ritiro con Zeman puoi davvero superare qualsiasi cosa, mi sono divertito tantissimo.

Ho visto gente che fingeva di cadere e farsi male per smettere di correre perché erano davvero corse estenuanti, ho visto gente vomitare, gente ( ride n.d.r ) parlare in aramaico e avere delle allucinazioni però quando hai 16 anni e sei spensierato riesci a fare tutto. Ricordo che siamo stati a Predazzo e i ritiri di solito durano 15/18 giorni mentre noi rimanemmo quasi un mese. Mi sono davvero divertito e ho imparato tantissimo”.

A Palermo, nel quartiere Sperone, cresce un bambino che tutti chiamano “Bombolino” per il suo aspetto fisico ma, nonostante ciò, sapeva segnare tantissimo.

Lei segnò 100 reti in un solo anno con la maglia del Palermo quando militava nelle giovanili della società rosanero. Ci racconta come nacque il suo amore per il calcio?

“Ti posso dire che ho 38 anni e adesso che non faccio più il calciatore posso vantarmi di alcune cose dicendo che io da bambino ero veramente forte. Mi chiamavano Bombolino perché ero cicciottello ma avevo un tiro fortissimo , ero coordinato ed ero veramente bravo.

Io ho imparato a giocare per strada, giocavo in mezzo alle macchine ed ho avuto un incidente stradale giocando a calcio. Quando uscii dalla clinica con i punti e mi portarono a casa scappai, erano tempi diversi infatti  mia madre e mio padre avevano un negozio di alimentari e non potevano starmi dietro.

Io andai a giocare a pallone subito dopo l’incidente dimenticando di avere i punti, tirai e si scucì tutto quanto.

Morale della favola dovettero riportarmi in ospedale. Io sono cresciuto con la palla tra i piedi, io con la palla ci andavo a dormire, era il mio miglior amico e lo portavo sempre con me.

Alla Roma ho imparato i fondamentali ma io ho imparato a giocare a pallone in strada ed è per questo che in Italia nascono pochi talenti. Trovi pochissimi bambini giocare nelle piazze come un tempo mentre, in Brasile, in Argentina e in altre parti del mondo nascono ancora fenomeni perché si gioca ancora come quando ero piccolo io.

In strada ti devi arrangiare, ti devi saper destreggiare tra le macchine, tra le persone che passano, devi stare attento ai sassi, ai marciapiedi e ai campi “impossibili”, ai tuoi amici più grandi che magari invidiosi cercano di farti  male.

Adesso è finita, non è più così, devi sperare di incontrare degli allenatori forti che ti insegnano il calcio come se tu lo imparassi per strada soprattutto se sei piccolo. Ti faccio un esempio, i più grandi calciatori del mondo come Messi, Maradona, Pelè, Ronaldo, Neymar hanno avuto una infanzia tutta incentrata nel gioco del calcio e giocavano sulla terra, sui sassi, ovunque.

Il calcio nasce da lì poi la Roma, Trigoria, l’erba, i campi stupendi sono tutte cose che vengono dopo e ti dico che se potessi tornare indietro nel tempo tornerei lì, su quelle strade dove ho iniziato da piccolo perché quello era il vero calcio.”



Le piace la Roma attuale di Fonseca? C’è un calciatore della Roma di oggi che un po’ le assomiglia?

A me Fonseca piace e tanto. Mi piace come comunica e come fa giocare la squadra, bisogna trovare un rimedio riguardo agli infortuni. Non è sempre colpa del preparatore atletico o della metodologia di allenamento, bisogna trovare una soluzione perché il mister ha dovuto inventare dei ruoli per sopperire a questo. Fonseca cerca sempre la soluzione e a me questa mentalità fa davvero impazzire.”


Cosa pensa della situazione che sta vivendo la società in questo momento? Lei che conosce bene Totti e De Rossi  volevo chiederle se crede che possano rientrare in futuro in società e se si aspettava di vedere una Roma senza i suoi due simboli.

Il problema è che sono anni che c’è questa situazione, ricordiamoci che siamo la capitale, ricordiamoci che Roma è la città più bella del mondo con dei tifosi meravigliosi e straordinari come ricordiamoci che la Roma rispetto alla sua immagine e la sua grandezza ha veramente pochissimi trofei.

Bisogna avere e pensare allo stesso modo, tifosi squadra e società. Alla Juve non importa se Del Piero va via, alla Juve e ai tifosi può dispiacere ma vogliono vincere.

Totti e De Rossi sono due campioni che hanno fatto la storia della Roma, spero che se dovesse subentrare una nuova società possa consentire loro di rientrare perché credo che loro due possano fare il bene della Roma ma non deve essere tutto sulle loro spalle.

Qui si parla a 360 gradi, di quello che la Roma deve fare perché non è giusto che una squadra come la Roma possa vincere uno scudetto ogni 25 anni. Questo vuol dire che in 100 anni vinci 4 scudetti e non è possibile. Ricordiamoci che siamo la Capitale.”

Il calcio di strada è, nelle parole di Gaetano D’Agostino un fattore importantissimo. Probabilmente queste generazioni nascono con molte distrazioni e troppi “vizi” mentre, un tempo, bastava avere un pallone tra i piedi ed una porta improvvisata per passare intere giornate e divertirsi.

Nelle sue parole ho letto una voglia matta di fare calcio e molta amarezza nel non aver avuto la possibilità di fare il “grande salto” ma, come dice lui, oggi da allenatore è bene far capire  ai ragazzi che si deve giocare dando sempre il massimo non aspettandosi nulla dagli altri. Si va avanti con le proprie forze, il lavoro alla lunga paga sempre.


Si dice che: “L’uomo che si lamenta del modo in cui la palla rimbalza è probabilmente quello che l’ha fatta cadere”, Gaetano quel pallone non l’ha mai fatto cadere e lo si legge nelle sue parole e nei suoi occhi che ancora credono fermamente ad un sogno che era, è e sarà rappresentato sempre da un pallone.

Classe 87, nato e cresciuto con la Roma nell'anima. Scrivo per passione mettendo il cuore avanti ad ogni singola parola.

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