Non vorremmo dirlo, ma bisogna guardare in faccia la realtà: ad oggi la Roma ha un grosso problema in porta. Pau Lopez, dopo un pesante investimento economico e un inizio tutto sommato nella media, nel 2020 ha avuto un crollo verticale. Dalla papera nel derby (tralasciando il fallo di Acerbi) fino a quella con il Siviglia in Europa League Pau Lopez non ha mai convinto. Anzi, le sue prestazioni hanno portato i tifosi ad invocare sempre più spesso l’impiego del “secondo” portiere Antonio Mirante.

Probabilmente i 25 milioni, euro più euro meno, spesi dall’ex Ds Gianluca Petrachi, hanno gettato fumo negli occhi dei tifosi che speravano di aver trovato finalmente un portiere affidabile. “Finalmente”, perchè dal 2015 al 2018 tutti eravamo stati abituati bene, anzi benissimo, tra Wojciech Szczesny e Alisson, soprattutto con il brasiliano che si è rivelato tra i portieri più forte del mondo. Insomma, quello che ha la Roma in porta è un problema che parte da lontano.

Praticamente dal 1997, da quando Michael Konsel è entrato nel cuore dei tifosi romanisti, (nonostante l’austriaco sia rimasto nella Capitale solo per un paio di anni). Bene, anzi male, da lì in poi sono stati pochissimi i portieri che hanno garantito affidabilità e soprattutto continuità. Anticipato da Antonio Chimenti – per gli amici “Zucchina” – è arrivato poi il regno di Francesco Antonioli.

Il “regno” Antonioli
L’ex Bologna ha difeso la porta della Roma per ben 4 stagioni, diventando (nonostante la papera col Perugia), uno degli eroi campioni d’Italia, alternandosi con Cristiano Lupatelli, più che altro un amuleto per Fabio Capello. Dopo lo scudetto sarebbe dovuto arrivare Gianluigi Buffon, e lì sì che Franco Sensi – e di conseguenza la Roma – avrebbe fatto bingo. Ma quelli erano i tempi di Moggi e il portiere andò alla Juve insieme a Thuram. Arrivò allora uno dei prospetti più interessanti, quell’Ivan Pelizzoli preso dall’Atalanta per 27 miliardi di lire da affiancare all’esperto Antonioli: uno sproposito, a posteriori.

L’avventura giallorossa di Pelizzoli, eccetto la prima parte della stagione 2003/04 in cui la Roma si stava giocando lo scudetto con una difesa di ferro (record da 774 minuti d’imbattibilità per il portiere), si risolse con la titolarità di Gianluca Curci, prodotto del vivaio, che fu decisivo nell’anno da incubo dei 4 allenatori e la salvezza in casa dell’Atalanta, stagione 2004/05.

Portieri carioca

Nell’estate 2005 fu l’ora dello sconosciuto brasiliano Alexander Donieber Marangao, detto Doni. Esordì a sorpresa nel derby, al posto di Curci promosso titolare forse più per gratitudine che per altro. Un portiere, Doni, a fasi alterne: i fondamentali c’erano, ma è la continuità quella che è mancata. Doni rimase titolare fino alla stagione 2009/10, quando la colonia di portieri brasiliani si rinforzò con gli arrivi di Arthur, ma soprattutto di Julio Sergio. Quello che Spalletti definì “il miglior terzo portiere del mondo“.
Julietto, come lo chiamavano e lo chiamano tutt’ora gli affezionati tifosi, stava per diventare il portiere del quarto scudetto: In quell’annata con l’arrivo di Claudio Ranieri in panchina fu davvero un valore aggiunto (basta ricordare il rigore parato a Floccari nel derby), anche se poi la stagione andò come andò.

La sua avventura romanista si “concluse” con le lacrime di Brescia e la stoica resistenza in porta nonostante una caviglia andata. L’estate 2011 ha rappresentato un altro sogno: quello di aver finalmente sistemato la porta per molto tempo. Arrivò in giallorosso Maarten Stekelenburg, portiere dell’Ajax fino a quel momento tra i migliori d’Europa. Bene, il silente olandese cominciò subito male in casa dello Slovan Bratislava nei preliminari d’Europa League, e anche in campionato non convinse mai… anzi.
L’arrivo di Zdenek Zeman in panchina, segnato dall’improvvisa morte di Francesco Mancini, ex portiere del Foggia entrato nello staff del boemo. Proprio lui aveva suggerito al tecnico di puntare su tale Mauro Goicoechea. Fu un grosso errore. Basta pensare alla madre di tutte le papere, quell’autogol con il Cagliari che a pensarci a 8 anni di distanza causa ancora scompensi cardio-circolatori, psichici e chi più ne ha, più ne metta.
Szczesny e Alisson, poi il nulla
Fu così che nell’anno della ricostruzione 2013/14 l’allora Ds Walter Sabatini scelse Morgan De Sanctis. Un portiere tutto sommato continuo, nonostante qualche errore. Pochi se paragonati a quelli dei suoi predecessori. L’ex Napoli, ora entrato nei quadri dirigenziali romanisti, restò in giallorosso – da titolare – fino all’estate 2015, quando arrivò Wojciech Szczesny in prestito dall’Arsenal.

Il polacco, che con i Gunners non trovava spazio a causa del connazionale Fabianski, si rivelò subito una grande intuizione. Preso in prestito con diritto di riscatto, dopo un’ottima stagione 2015/16, tornò a Roma con la stessa formula. Dietro di lui Alisson, il portiere di Coppa pagato all’Internacional solo 8 milioni di euro. Per lui la prima fu una stagione di apprendistato, salvo poi diventare il titolare assoluto nella stagione 2017/18, con le classiche “vedove” di Szczesny andato nel frattempo alla Juve.

Breve, ma intensa, l’avventura di Alisson alla Roma. Una sola stagione da titolare, ma strepitosa: prestazioni che, oltre alla semifinale di Champions League hanno portato ai giallorossi come minimo 10 o 15 punti. Insomma, decisivo come un attaccante. E dopo il furto del Liverpool all’Olimpico, pochissimo tempo dopo i Reds raddoppiarono portando via Alisson (oltre a Salah un anno prima) per ben 72,5 milioni di euro, bonus compresi. Da lì, il buio.

Nel ruolo di Direttore sportivo arriva Monchi, in quel momento ambito da mezza Europa. Tutti si fidano della scelta Robin Olsen, anche perchè il ds, da giocatore, era un portiere. E invece fu una catastrofe, fortunatamente pagata poco in termini economici. Il portierone svedese (titolare nella sua Nazionale) alterna papere a paperissime, rivelandosi affidabile come un elefante in un negozio di cristalli, tanto da perdere il posto in favore di Antonio Mirante, arrivato con il ruolo di secondo e di chioccia per i portieri più giovani.
Con l’avvento di Gianluca Petrachi dietro la scrivania il diktat è uno: trovare un nuovo Alisson, o almeno uno che ci possa andare vicino. La scelta, una volta mandato Olsen in prestito al Cagliari, cade su Pau Lopez. Un portiere bravo con i piedi, come chiede mister Fonseca, e anche tra i pali. Almeno per quello che si è visto al Betis, che lo ha ceduto alla Roma per 25 milioni di euro.

Tanta spesa, poca resa. Così si può riassumere la prima stagione di Pau Lopez alla Roma. Papere a parte, un altro grosso problema è rappresentato dai rigori. Lui lo ha candidamente ammesso in più interviste, ma se si mettesse una sedia al centro della porta i tifosi giallorossi avrebbero qualche speranza in più di non vedere un rigore avversario diventare un gol certo. Si è cercato qualche acquirente, ma niente da fare. Rimarrà in cerca di riscatto, ma la sensazione è che il titolare sarà Antonio Mirante. E chissà per quanto tempo dovremo rimpiangere Alisson...
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