Solo tre persone sono riuscite ad azzittire completamente il Maracanà: Frank Sinatra, Papa Giovanni Paolo II ed Alcides Ghiggia.
Per i brasiliani un Mondiale non é mai solo un Mondiale, figuriamoci uno in casa.
Nell’estate del 1950 il Brasile si ferma, chiude tutto, la vita normale smette di esistere per far posto alla cavalcata che deve portare la nazionale al titolo mondiale.
Ghiggia permettendo, perché già dalle prime partite l’Uruguay non sembra tanto d’accordo con questo progetto verdeoro, ed Alcides ancora meno, tanto da buttarla dentro in ogni singola partita fino a portare l’albiceleste in finale.
Brasile-Uruguay, 16 Luglio 1950, davanti a duecentomila brasiliani che cantano e ballano fino a far muovere letteralmente le fondamenta dello stadio.
Il Brasile va in vantaggio, sembra l’epilogo scontato di una vittoria annunciata, ma l’Uruguay continua ad avere un altro parere, Ghiggia dribbla Bigode sulla sinistra e la mette al centro per Schiaffino, mica uno così, uno a cui il pallone dava del lei, che pareggia.
Col pareggio il Brasile vincerebbe il titolo, ma é il Brasile e proprio non ci riesce a gestire la partita senza attaccare, l’Uruguay é tosto e Ghiggia é in una di quelle serate in cui potrebbe stare alla pari con Frank Sinatra e Papa Giovanni Paolo II. Ed allora parte, palla al piede, veloce come un treno, vede Barbosa che accenna l’uscita, terrorizzato da Schiaffino al centro dell’area, e vede quello spazietto, piccolo ed inutile in cui il pallone c’entra, si, ma devi avere il piede di Ghiggia. E Ghiggia quel piede ce l’ha: 1-2 incredibile, Uruguay campione del mondo.
Jules Rimet dirà che quella sera andó tutto come previsto, eccetto la vittoria dell’Uruguay.
Alcune fonti parlano di almeno 10 brasiliani morti di infarto dentro quello stadio e di due persone suicidatesi gettandosi dagli spalti, a fine partita un gruppo di facinorosi aggredì Ghiggia che tornó in patria con la coppa in mano ed il gesso al piede.
Il Maranazo é ancora oggi una tragedia nazionale per il Brasile, uno di quei giorni che ognuno vorrebbe dimenticare.
Qualche anno dopo un’altra stanza rimase in silenzio al nome di Alcides, quella del teatro Sistina, dove il presidente Sacerdoti annunció ai soci della Roma l’ingaggio del fuoriclasse uruguagio, un acquisto incredibile che porta entusiasmo in tutta la città.
Se si avessero ancora dubbi su quanto il calcio sia bello, incredibile ed in grado di togliere il fiato basterebbe andare a vedere la rosa della Roma che portó a casa la Coppa delle Fiere, i nomi di Ghiggia e Schiaffino saranno sempre li, uno vicino all’altro, a comporre una delle poesie più malinconiche e bellissime che si siano mai viste su un campo da calcio.
Se invece i dubbi fossero sulla vita, su quanto sia infame e si riprenda sempre quello che ti ha dato, si dovrebbe andare a Montevideo, sulla lapide di Ghiggia, dove la data della sua morte, il 16 Luglio del 2015, chiude un incredibile cerchio su quella finale.
Ma se Ghiggia avesse potuto scegliere una data in cui salutare tutti ed andarsene avrebbe scelto quella, ovvio che avrebbe scelto quella.
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