Solo qualche giorno fa i tifosi romanisti hanno dovuto salutare Patrik Schick. L’attaccante ceco è andato in prestito al Lipsia, sostituito da Nikola Kalinic. Un’operazione che ha trovato il gradimento di tutti nella Capitale, visto lo scarso rendimento fornito dall’ex Samp nelle sue due stagioni in giallorosso.

Parliamo infatti di un centravanti che ha segnato 8 gol in 58 partite con la maglia della Roma. Una vera miseria, soprattutto se si pensa che a Genova ne aveva realizzati 13 in 35 partite. Con un’efficienza realizzativa che è scesa dal 196% del suo anno di esordio in Serie A al 54% della sua deludente avventura romanista (fonte: Understat.com).

Eppure ci sono stati dei momenti in cui tutti noi tifosi giallorossi siamo stati convinti che Schick potesse finalmente esplodere, facendo vedere davvero tutto il suo potenziale. Occasioni in cui Patrik sembrava ad un passo dal prendersi definitivamente la Roma. Ma che invece si sono rivelate poi soltanto dei buchi nell’acqua. Finendo per segnare sempre più negativamente la storia dell’attaccante ceco nella Capitale.
Chievo-Roma 0-0 (10/12/2017)
(scritto da Gianluca Losito)
10 dicembre 2017. La Roma di Eusebio Di Francesco sta vivendo uno dei suoi momenti migliori, dopo che negli ultimi due mesi ha ottenuto una lunga serie di risultati positivi. In campionato è terza a pochi punti da Juve e Napoli. In Champions League, invece, ha conquistato solo cinque giorni prima una brillante quanto inaspettata qualificazione agli ottavi di finale, sconfiggendo il Qarabag per 1-0 e sbattendo fuori il fortissimo Atletico Madrid del Cholo Simeone, che poi andrà a vincere l’Europa League.

I giallorossi sono ospiti del Chievo allo Stadio Bentegodi, dove si disputa l’anticipo delle 12 e 30 della domenica. Nella squadra capitolina gli occhi sono concentrati su Patrik Schick. Dopo una fugace apparizione contro il Verona a settembre e una manciata di minuti contro la SPAL, il centravanti ceco è alla sua prima partita da titolare, al centro di un attacco con Gerson a destra ed El Shaarawy a sinistra.

Parte bene la Roma, parte discretamente Schick. I problemi fisici sembrano superati ma la forma, legittimamente, non è delle migliori. Il numero 14 deve trovare una maggior mobilità e adattarsi ad un gioco, quello del mister di Sambuceto, che lo vede lavorare molto spalle alla porta.
Tuttavia il ruolo del centravanti è anche intuito e colpo ad effetto. Così ecco che arriva l’occasione perfetta per bagnare l’esordio dal primo minuto. Cacciatore rinvia male di testa e sulla respinta si avventa Kolarov, che tira uno dei suoi soliti missili rasoterra. Sulla traiettoria si trova proprio Schick, che tenta di indirizzare il pallone con un geniale colpo di tacco, ma il riflesso felino di Sorrentino gli nega il gol. Pure la respinta successiva di Gerson viene parata dal decano della porta gialloblù. Il pallone proprio non vuole entrare.

Nella seconda frazione la storia non cambia. Schick si rende prima protagonista con un assist a Gonalons, poi nel finale di partita si mette in proprio, trovando una traiettoria particolare col suo mancino. Uno stoico Stefano Sorrentino però è in una di quelle giornate in cui sembra voler rubare il ruolo al suo omonimo Paolo e girare Il Divo, ma con se stesso nel ruolo di protagonista.

La Roma viene così subissata dalle critiche. E al centro del ciclone c’é soprattutto il suo nuovo centravanti, fragile nel fisico e nella mente, che inizia a rintracciare le prime crepe nella sua sicurezza. Eppure uno 0-3 con lui protagonista assoluto non sarebbe stato fantascienza, ma semplicemente una mera realtà, con una prestazione normale di Stefano Sorrentino.
Juventus-Roma 1-0 (23/12/2017)
(scritto da Federico Roberti)
Era già tutto fatto. Non serviva far altro che assecondare il destino. La strada era spianata verso un futuro pirotecnico con la maglia della Roma, mancava solo l’ultimo passo. Quell’ultimo passo che lo ha fatto inciampare prima e affondare poi. Un passo che si è rivelato fatale.

Era l’antivigilia di Natale a Torino, quando il futuro poteva tingersi di giallorosso. Nel tipico freddo piemontese, nella tipica partita del periodo natalizio tra Juventus e Roma, era venuto fuori un atipico match tra le due squadre. Non apparentemente, in realtà, perché i campioni d’Italia a pochi secondi dal triplice fischio conducevano per 1-0, grazie al gol dell’ex Benatia, e pregustavano un Natale a un solo punto di distanza dal Napoli. E non era neppure atipico che i bianconeri avessero il pallino del gioco in mano, con la Roma che soltanto sporadicamente tentava di avventurarsi nelle desolate lande difese da Szczesny, altro ex della partita.
Ciò che sfuggiva ai criteri della normalità era che, nonostante tutto, la squadra dell’allora tecnico romanista Di Francesco era ancora in gioco. E così, con la partita tutta da giocare, quando scoccò il minuto 66, l’allenatore abruzzese decise di cambiare le proprie pedine offensive. Fuori El Shaarawy, dentro Partick Schick, per dare sostanza alla manovra e aumentare la brillantezza negli ultimi metri.

A volte però il destino sa essere beffardo. Fino a quel momento della stagione, Schick aveva maledettamente sofferto: 11 partite saltate per infortunio sulle 19 totali, altre 3 vissute totalmente in panchina e appena 2 giocate dal primo minuto. Nè un gol né un assist all’attivo e 42 milioni di aspettative che pesavano sulla sua schiena. Un peso che è diventato una condanna proprio nella pungente Torino.
Mancavano pochi attimi al termine della partita, che si avviava a tramontare con la solita vittoria della Juventus, quando avvenne l’imponderabile. Benatia regalava a Schick la possibilità di attuare con brutalità la legge del contrappasso: quello della Roma contro la rivale di sempre. Quello del presente contro il passato. Quello del giocatore ceco stesso contro la squadra che lo aveva scartato in estate per un piccolo problema cardiaco. L’occasione della rivincita era davvero ad un passo.

Ma quel passo divenne una maratona, quell’occasione un rimpianto e Schick una delusione. A campo aperto, con tutto il tempo a disposizione, solo davanti a Szczesny, con la rete bianconera che aspettava solo di gonfiarsi per scrivere una storia che solo un romanista poteva immaginare, l’attaccante ceco tirò il pallone addosso al portiere. Il sipario calò così sulla partita di Torino. E anche su Schick, che sprofondò nella sabbie mobili della disperazione. Senza riuscire più a riprendersi.
Roma-Inter 2-2 (02/12/2018)
(scritto da Francesco Amadei)
Ora è il mio momento. Non ci sono più scuse. Edin purtroppo si è infortunato qualche giorno fa e mancherà per un po’. Di sicuro non sarà facile sopperire alla sua assenza in squadra, ma questa è la mia occasione per dimostrare a tutti quanto valgo.

Ho finalmente davanti a me un set abbastanza lungo di partite che giocherò sicuramente da titolare, senza alcun tipo di concorrenza. E in più potrò farlo sempre nel mio vero ruolo: il centravanti. Un onore che mi è stato concesso poche volte da quando sono qui a Roma.
E allora devo allenarmi ancora più forte e sfruttare ogni secondo che avrò in campo per riscattarmi agli occhi di critica e tifosi. Non posso sprecare questa chance, è troppo importante. O la va o la spacca.

Penso a questo mentre percorro il corridoio dell’Olimpico pochi secondi prima del fischio d’inizio di Roma-Inter. Una partita fondamentale per noi, per riprenderci dopo un periodo difficile. Una partita in cui io guiderò l’attacco giallorosso dal primo minuto di gioco.
Entro in campo e percepisco che c’è un’atmosfera diversa intorno a me. Sento che questa sarà la mia serata. Deve esserlo. E così, quando mi arriva il pallone largo sulla sinistra, mi giro subito saltando in modo netto De Vrij, che stava uscendo in anticipo su di me.

A questo punto mi involo verso l’area di rigore e, quando trovo la strada per la porta sbarrata, decido di passarla di tacco a Flore, che si trova esattamente sul dischetto del rigore. Quasi alzo le braccia pronto ad esultare, ma il tiro di Ale finisce incredibilmente sul palo.

Mi sento un po’ frastornato. Non capisco. Ero davvero convinto che questa fosse la mia serata. Doveva esserlo. Eppure la sorte sembra ancora giocarmi maledettamente contro.
Cerco di reagire, ma non ci riesco. Provo a liberarmi di quella brutta sensazione che anche stavolta non sia il mio momento, ma non ce la faccio. Continuo a chiedermi cosa sarebbe successo se quel tiro fosse entrato. Forse qualcuno mi avrebbe applaudito. Qualcun altro avrebbe cominciato a ricredersi sul mio conto. E io avrei riacquistato la fiducia e la consapevolezza di un tempo.

Invece mi trovo di nuovo in quel misto di apatia e inerzia che mi ha avvolto fin da quando ho sbagliato quel maledetto gol a Torino contro la Juve. È come se non facessi parte di tutto quello che sta succedendo intorno a me. Come se io fossi solo uno spettatore della realtà circostante.
I minuti passano, ma io non ho le forze per incidere sulla partita. Più provo a muovermi e a cambiare le cose, più mi sento sprofondare ulteriormente. Le mie personalissime sabbie mobili mi impediscono di far vedere davvero quanto valgo. La mia grande occasione mi sta scivolando pian piano dalle mani.

Finalmente l’arbitro fischia la fine. E io posso tornarmene a casa. Non so quanto durerà ancora la mia avventura nella Roma, ma faccio fatica a pensare di continuare a giocare in queste condizioni. Non lo sopporto più. Mi servirebbe una svolta, che però non credo più possa arrivare ormai. Mi sento perso, smarrito chissà dove. E non so proprio come uscirne.
Spal-Roma 2-1 (16/03/2019)
(scritto da Dario Leo)
L’ultimo periodo sotto la guida tecnica di Di Francesco vide Patrik Schick alternare panchine a chances da titolare poco convincenti anche quando la squadra sembrava girare, vedasi Chievo-Roma 0-3. Per questo, in pochi pensavano che il cambio di guida tecnica, con la squadra affidata a Claudio Ranieri, potesse giovare davvero al ragazzo, così distante nel modo di giocare dal rinomato pragmatismo calcistico del tecnico di San Saba.

Eppure nella prima partita della parentesi ranierana Schick giocò titolare, complice la squalifica di Dzeko, e da punta centrale realizzò nel primo tempo il gol del 2-1, regalando i tre punti alla Roma.

La settimana che precedeva Spal-Roma del 16/03/2019 vide così l’ambiente giallorosso ritrovare un’insperata compattezza. Sarà stato l’arrivo al timone della squadra di un testaccino romanista fino al midollo. Oppure sarà stata la sensazione di liberazione provata finalmente dalla tifoseria, prigioniera di un rapporto ormai incancrenito con Difra e Monchi. Fatto sta che la trasferta di Ferrara è stata preceduta da una delle vigilie più serene che io ricordi nella passata stagione.
La Spal viveva un periodo difficile. Dopo una buona partenza, coronata dalla vittoria all’Olimpico proprio contro di noi, la squadra di Semplici nelle successive 18 sfide era riuscita a portare a casa la vittoria solo una volta al Tardini di Parma, e la zona retrocessione era distante appena due punti. Insomma, c’erano argomenti per ipotizzare un pomeriggio di festa al Paolo Mazza, che si tinse di giallorosso ben oltre la capienza del settore ospiti. A occhio, essendo stato lì presente quel giorno, posso affermare senza esagerazione che i tifosi della Roma superavano addirittura le 4000 unità.

Ranieri decise di cambiare. D’altronde lo aveva annunciato in conferenza stampa che con l’Empoli aveva preferito proseguire con il modulo del predecessore, essendo arrivato da soli due giorni, ma che la sua idea di calcio lo avrebbe portato a modificare lo scacchiere giallorosso per favorire la convivenza tra Schick e Dzeko. Lo dico senza pudore: ho pensato che potesse essere la svolta per l’attaccante ceco. E tanti romanisti come me.

D’altronde era chiaro a tutti che il ragazzo non riusciva a reggere da solo il peso dell’attacco e che non aveva il dinamismo necessario ad incidere da esterno offensivo. Lo aveva dimostrato anche alla Sampdoria. Lì, affiancato ad una punta centrale ma mobile come Quaglierella, nella seconda parte di campionato aveva realizzato gol a ripetizione. Quale miglior partner allora di Edin Dzeko, centravanti mobile per eccellenza?
Così la Roma scese in campo al Mazza alle 18 con un inedito 4-4-2, mossa che oltre a scatenare l’estro di Patrick Schick avrebbe dovuto rafforzare le fasce per contenere le discese degli esterni avversari. Risultato? Vittoria della Spal, con Lazzari e Fares migliori in campo.

La Roma del primo tempo di Ferrara è stata una delle più brutte che io ricordi a memoria. Passi pure una predominanza dei padroni di casa dal punto di vista dell’intensità, vista la situazione di classifica, ma ciò che mi preoccupò fu una netta prevalenza nel gioco. La Spal in quel primo tempo passò molti più minuti nella metà campo della Roma che il contrario. Completò più passaggi, vinse più contrasti, calciò di più verso la porta avversaria. Fu un miracolo andare al riposo con un solo gol di scarto.

Schick fu invece il solito Schick, forse anche peggio. Il modulo era stato pensato in fase offensiva per fargli sfruttare i movimenti apridifesa di Edin Dzeko, ed in fase difensiva per portare il pressing sulla fonte di gioco avversaria, Missiroli. Tralasciando lo scarso impegno nella fase di rottura, il ceco sbagliò tutti i movimenti offensivi, intasando la zona centrale e venendo spesso incontro piuttosto che aggredire gli spazi. Con l’aggravante di costringere il partner d’attacco ad allargarsi quasi a ridosso delle linee laterali del campo alla ricerca di palloni giocabili, depotenziando di fatto la sua pericolosità in area avversaria.
Ma se nel primo tempo Schick estrinsecò la sua difficoltà ad inquadrarsi tatticamente, nel secondo dimostrò ancora una volta quello che ad oggi è il principale freno verso l’esplosione del suo indiscutibile talento: una grave carenza di personalità. Mentre i compagni rientrarono dagli spogliatoi con tutt’altro spirito, riuscendo anche ad acciuffare il pareggio prima del fatale rigore di Petagna, lui sparì completamente dal match. Amplificando quella solita sensazione di mollezza che le sue prestazioni hanno sempre suscitato in tutti noi.

Sarebbe bastato uno scatto, in un paio di occasioni, per trasformare una palla vagante nel gol che poteva cambiare la stagione della Roma quel pomeriggio… Ma lui no, lo vedevi trotterellare lontano dall’azione, senza nemmeno troppo impegnarsi a rincorrere i contropiede avversari.

Probabilmente quel pomeriggio è finita davvero la storia di Patrick Schick con la Roma ed i suoi tifosi, che nutrivano enormi speranze in lui e che perciò gli avevano concesso un credito enorme, che in pochi hanno potuto vantare qui nella Capitale. Tra l’altro proprio in quello stadio in cui, poco meno di un anno prima, sembrava essersi finalmente sbloccato, andando in rete e facendo così seguito alla buona prestazione contro il Barcellona di un qualche giorno prima. Insomma, un vero e proprio peccato.
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