Speravo de Morì Prima – la recensione

Dopo il documentario diretto da Alex Infascelli presentato alla Festa del Cinema di Roma (e al momento tra i nominati ai David Di Donatello), è arrivata un’altra opera dedicata a Francesco Totti, che sta facendo discutere tifosi, critici e cinefili di tutta Italia.

Speravo de Morì Prima” è una miniserie composta da 6 episodi che non superano i 50 minuti l’uno. Con il giovane Pietro Castellitto nei panni del capitano, la serie racconta gli ultimi due anni difficili del calciatore, alternandoli con dei flashback che ci riportando ai momenti importanti della sua carriera: l’amicizia con Cassano, l’amore con Ilary, il mondiale, lo scudetto vinto e quello sfiorato, e tanti altri momenti che noi tifosi Romanisti ricordiamo bene.

La serie già dall’annuncio è stata messa sotto il (pre)giudizio di molti. Ancora di più dopo il primo trailer uscito. Effettivamente, le prime immagini non presentarono bene la serie, facendola passare per qualcosa di fin troppo serio e pesante: due aggettivi che non si sposano affatto con il percorso del Capitano. Totti non ha avuto una storia così “cattiva” da essere raccontata sotto una luce cupa, drammatica. Nessuna storia di doping, di omicidi, di misteri. L’unica vera battaglia di Francesco Totti è stata personale, dentro di lui. Una lotta inesorabile contro il tempo.

Tutti a dimme che dovevo preparamme, ma se te dicono che te rimane un anno de vita, che fai, nun ce pensi sempre?

Sì c’è il caso Spalletti, certo, ma non è centrale quanto si possa pensare. Il mister Toscano sicuramente avrà le sue colpe (da capire quanto personali e quanto imposte dalla società al tempo), ma il focus della serie è un altro. Totti senza il pallone è un bambino che deve far i conti con l’età adulta, un Peter Pan troppo cresciuto. Questa è la vittoria della serie, quella di aver colto la condizione più dolorosa (e silenziosa) per Totti in quegli anni. Bravissimi anche gli attori: Castellitto, anche se fisicamente differente da Francesco, riesce ad incarnarne perfettamente lo spirito, la voce, le espressioni. Addirittura la postura (da noi tifosi riconoscibilissima). Tognazzi come Spalletti talmente uguale che all’inizio può sembrare una parodia, per poi farci l’abitudine.

E se la scrittura coglie il punto, la regia segue con successo: un romanzo calcistico ben rappresentato grazie ai tanti dettagli che fanno la differenza. Situazioni surreali e scene da commedia all’Italiana, di quelle scritte con il cuore. Certo, non manca di difetti: ci sono comunque momenti morti e dinamiche famigliari mal gestite o semplicemente abbozzate.

Poco importa però, perché la serie fa ridere, non si prendere sul serio, è leggera, originale, volutamente sopra le righe ma soprattutto sa far emozionare con una semplicità esemplare. Praticamente è come Francesco Totti.

Ultime due cose: la prima è che il finale della serie per i tifosi giallorossi è una dolce pugnalata al cuore che non può lasciarvi indifferenti. 
La seconda è che vi consigliamo di Stare lontani da chi fa battute tipo “speravo de morì prima de Speravo de Morì Prima” oppure “Quello invece che Totti sembra Manolas”: chi dice così o non l’ha vista, o tifa Lazio o ancora peggio, non l’ha capita.

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